27 GENNAIO - IL GIORNO DELLA MEMORIAINTERVISTELIFESTYLETHE MINUTES FLY

LA SECONDA GUERRA MONDIALE: STORIE DI VITA VISSUTA

Se si prova nella propria vita l’esperienza della guerra non serve solo il “Giorno della Memoria” per ricordare di non dimenticare.
(Mauro)

Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, il Signor Mauro aveva solo 10 anni. Infatti nacque nel giugno del 1930 in una piccola cittadina pugliese in provincia di Bari chiamata Molfetta

Per i suoi genitori la guerra era un’esperienza già vissuta e di certo non erano a favore di un altro periodo di terrore e violenza.

Invece per lui era tutto nuovo.

I bambini a quell’epoca erano addestrati a pronunciare la parola guerra con fierezza, come se essa non fosse sinonimo di violenza, morte, fame e tristezza.

Già alle scuole elementari i maestri preparavano i maschietti all’eventualità di difendere la propria patria insegnando loro ad usare il fucile e questo, all’inizio, divertiva i piccoli studenti.

Il Signor Mauro ben presto, oltre alla curiosità, dovette imparare a convivere con la paura, un sentimento che dovrebbe essere sconosciuto ad un bambino di soli dieci anni. 

“All’inizio i grandi dicevano che la guerra sarebbe finita in fretta e che i soldati se ne sarebbero presto andati da Molfetta”.

Questa è la frase con cui il Signor Mauro ha esordito durante la sua intervista.

“Ma poi le cose cominciarono a cambiare e a diventare abitudini”.

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Le giornate dei ragazzini durante la guerra

Pian piano i soldati tedeschi, alleati degli italiani, cominciarono a stabilirsi negli edifici scolastici di tutte le città.

Nemmeno il piccolo borgo di Molfetta fu risparmiato.

Mauro e i suoi amici cominciarono a non andare più a scuola perché l’unica lasciata libera dai soldati era troppo lontana dalle loro case e i genitori preferivano saperli vicini a loro. 

Il Signor Mauro racconta come passava le sue giornate con gli amici di sempre.

“Eravamo molto curiosi; perciò ce ne stavamo sul porto di Molfetta a vedere come si costruivano le navi”.

“Ogni tanto si vedevano passare, anche al di fuori dall’orario del coprifuoco, aerei americani che spesso sganciavano bombe che per fortuna finivano tutte in mare.

Gli americani sapevano che gli abitanti della zona di Bari erano protetti da San Nicola, il patrono, così temevano di essere puniti da Dio”.

Per non annoiarsi i bambini inventavano giochi come quello della “caccia ai topi”.

Tale gioco consisteva nel formare trappole con delle piccole munizioni che si trovavano facilmente in alcuni depositi militari disseminati, senza alcun controllo, nelle campagne di Molfetta.

I bambini della comunità spesso avevano il compito di portare il pesce a casa.

Un lavoretto che i genitori assegnavano ai propri figli, era quello di raccogliere i pesci saliti a galla dopo che le bombe cadevano in mare vicino alla riva.

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Foto – Fonte: molfettanelpassato.blogspot.com

La guerra: il cibo tesserato 

Un altro cambiamento che il Signor Mauro sottolinea è il tesseramento del cibo durante il periodo della guerra.

“Venivano consegnati 150 grammi di farina a testa che mia madre usava per fare un po’ di pane per noi figli. Lo nascondeva sotto il materasso per poterlo far durare più giorni”.

Nessuno a Molfetta poteva avere più cibo del dovuto in maniera legale.

“Noi alcune volte siamo stati fortunati” dice il Signor Mauro.

“Una cugina di mia madre era coltivatrice a Margherita di Savoia, una cittadina che abbastanza lontana da casa nostra. Per questo motivo mia madre, si metteva in viaggio per quella zona della Puglia. Di nascosto riusciva a portare a casa fave, patate e lenticchie evitando di farsi scoprire”.

Non solo i soldati monitoravano la circolazione di cibo ma anche gli “sciacalli della linea di Bisceglie”.

Gli sciacalli erano civili che derubavano le donne che, come la mamma del Signor Mauro viaggiavano per cercare di sfamare i propri figli nascondendo il cibo sotto ampie gonne lunghe o nella biancheria.

Molte persone per poter avere più cibo, senza farsi notare, corrompevano i soldati dando loro una parte del pesce pescato.

In cambio i soldati davano un poco di carne in più per cucinare il brodo che conteneva più acqua che verdure.

La violenza su uomini e animali

Il Signor Mauro, ormai nonno di dieci nipoti, racconta della violenza che man mano penetrava nelle strade del suo piccolo paesino verso umani e animali.

“Ricordo che i soldati avevano sguardi cattivi. Infatti il nostro gatto quando ne vedeva uno passare si rifugiava sulle gambe della mia mamma che in genere tesseva le reti per i pescatori davanti alla porta di casa.”

Il signor Mauro, prosegue il suo racconto e dice: “Un giorno un tedesco, affermò, in un italiano molto stentato: Al mio  paese i gatti li mangiamo al forno con le patate”.

Gli occhi segnati dagli anni del Signor Mauro sembrano divertiti nel continuare la narrazione.

 “Eravamo affezionati al nostro gatto e, nonostante non avessimo soldi, lo curavamo bene. Andava al negozio di alimentari senza farsi vedere per rubare le fette di mortadella incartata dal negoziante. Così il furbone portava a casa il pacchetto con le fette di mortadella che mia madre divideva tra noi quattro figli. Malgrado il povero gatto rimanesse a bocca asciutta ogni volta, commetteva i suoi furti frequentemente per poterci fornire un po’ di cibo”. 

Ad un tratto i suoi occhi ritornano cupi perché quei soldati il suo gatto lo fecero sparire, lo cucinarono davvero.

La guerra: il fratello disertore

Il ricordo più vivido del Signor Mauro, però, riguarda la sua famiglia, in particolare il fratello maggiore: Lorenzo.

All’inizio della guerra, Lorenzo stava per essere congedato dal servizio di leva obbligatoria, ma poi dovette restare al servizio della patria.

“Mio fratello fu sbattuto in Africa fianco a fianco dei tedeschi. Era a capo di un milione di balilla, ragazzi dai 10 ai 15 anni, che erano stati addestrati per fare degli agguati ai soldati nemici”.

I balilla coordinati da Lorenzo erano destinati a morire, poiché gli agguati consistevano nel piazzare ordigni sotto le camionette nemiche. 

“Mio fratello si rese conto che avrebbe perso la maggior parte di quei ragazzi e che probabilmente no sarebbe tornato nemmeno lui a casa. Così decise di scappare”.

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Cominciò così l’avventura da disertore

Il Signor Mauro racconta che il fratello, che lui conobbe solo dopo molti anni, fece un viaggio molto travagliato per riuscire a rientrare a casa. 

Infatti, dovette raggiungere a piedi le coste dell’Africa per sbarcare prima in Sicilia e successivamente a Reggio Calabria aiutato da alcuni pescatori italiani.

Lorenzo viaggiava solo di notte nutrendosi di frutta e ortaggi che trovava nelle campagne lungo la strada e ci mise giorni per raggiungere Molfetta

Il Signor Mario ricorda la notte in cui suo fratello, ancora in divisa, busso alla porta.

Andò lui stesso ad aprire con molta paura: “Prima di aprire dissi a mia madre che c’era un soldato davanti alla porta e lei capì subito che si trattava di Lorenzo. Quella notte fu una delle poche gioiose di quel periodo. Purtroppo due giorni dopo un gruppo di carabinieri vennero a prendere mio fratello disertore per arrestarlo”.

Per molti anni non ebbero più notizie di Lorenzo.

“Mia madre piangeva ogni giorno perché pensava che fosse morto o che lo avessero fucilato” racconta il Signor Mauro con un velo di tristezza in volto.

Successivamente, tramite un soldato molfettese, tornato a casa perché rimasto ferito, seppero che fortunatamente Lorenzo era vivo e che era in servizio a Taranto.

“Mio fratello quando ritornò mi disse che non se la passava bene a Taranto perché comunque era visto come un disertore, ma meglio essere sbeffeggiato che fucilato” conclude il Signor Mauro.

Questo articolo intervista insegna che molte sono le storie di vita vissuta custodite nei ricordi, ma soprattutto conservate nei cuori di molti anziani.

Basta una parola, un aneddoto, un’immagine o un profumo per ricordare.

E’ proprio sulla base di questa riflessione che tutti noi, soprattutto i più giovani che hanno avuto la fortuna di non vivere la guerra sulla propria pelle, dovremmo SEMPRE ricordare di:

NON DIMENTICARE.

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